Comunicato dalla prima assemblea per la costruzione di un festival di sport antisessista

Lo sport popolare, come lo conosciamo e pratichiamo, è antifascista, antirazzista ed antisessista.

Antirazzista perché non sono necessari documenti o permessi per allenarsi e perché la provenienza di un individuo importa solo come possibilità di scambio.

Antifascista perché alla violenza della sopraffazione opponiamo la forza ragionata e leale della solidarietà.

Antisessista perché nei nostri allenamenti e nelle nostre palestre corpi diversi si possono incontrare, affrontare, scontrare e misurare, toccare e rispettare.

Una tre giorni antisessista nasce dalla necessità di mettere al centro nuovi rapporti tra generi ed identità di genere partendo dallo sport.

Obiettivo è di creare momenti di confronto sull’antisessismo, troppo spesso sbandierato all’interno dei movimenti e dello sport popolare senza che vi sia la reale pratica e condivisione di ciò che esso significa ed implica. La costruzione di una tre giorni di sport antisessista si propone innanzitutto di essere un percorso di condivisione e confronto sui modelli introiettati e quindi un percorso di cambiamento personale, politico e collettivo.

L’idea è che vi sia in ogni momento un approccio ludico dove alla competizione fine a se stessa si oppongono confronto e l’incontro senza che sia necessaria la ricerca di un vincitore e di un vinto.

Essere antisessisti non vuol dire però rifiutare la sessualità. Al contrario è riconosciuta la valenza erotica dei corpi che può essere sperimentata all’interno di spazi nei quali non è ammessa la prevaricazione o l’invasione di un corpo altro. Nella società in cui viviamo troppo spesso la sessualità viene associata all’oggettificazione e gli spazi stessi vengono vissuti in maniera diversa a seconda del genere cui si è stat* assegnat*. La tre giorni di sport popolare antisessista si propone di creare spazi in cui sia possibile confrontarsi con corpi diversi senza sottoporli a giudizi basati sulla forza o sulla capacità di dominare l’altr*. Nella nostra esperienza vuol dire spogliatoi ed allenamenti misti, vuol dire riconoscersi nelle differenze e praticare relazioni orizzontali e paritarie.

Ci si propone inoltre di dare spazio a tutt* coloro che non si identificano all’interno del binarismo di genere e che sono per questo esclusi dalle competizioni dello sport ufficiale.

Quest’ultimo, che in molti ambiti ha perso la sua funzione sociale ed educativa, propaganda troppo spesso competitività e modelli di genere violenti, che impongono di adeguarsi a rigide norme che riguardano sia la fisicità dei corpi che comportamenti e relazioni sociali. Per questo motivo la tre giorni di sport popolare antisessista vuole rivolgersi anche all’esterno dei circuiti dello sport popolare, per riappropriarsi di spazi pubblici nei quali praticare antifascismo, antirazzismo ed antisessismo.

La costruzione sarà il più possibile orizzontale, aperta ed inclusiva. L’inclusività di cui si parla da un lato mira a coinvolgere nella costruzione e nella partecipazione il maggior numero di persone  possibile, dall’altro non esclude la possibilità di momenti che permettano a chi vi partecipa di sentirsi a proprio agio. Al tempo stesso si chiede a chiunque, come singol* o come realtà, voglia partecipare al processo di costruzione di pensare a momenti in cui sport ed antisessismo possano concretamente dialogare, di proporre workshop, attività sportive o iniziative ragionate e coerenti con i principi fin qui espressi.

Sesso, Bugie e Lotta a Terra

Workshop

La lotta e’ uno sport molto di contatto ci si arruffa, avvinghia, rotola e via cosi’.
Potrebbe essere un’attivita’ grazie alla quale si impara a relazionarsi con serenita’ e rispetto con i corpi di generi diversi dentro e fuori dal tatami. Cosi’ non e’. L’ambiente degli sport di lotta (bjj, judo, lotta greco/romana, per citare solo i piu’ famosi) e’ a volte fortemente sessista, con tendenza all’omofobia e al machismo ostentato.
Perche’ sia cosi’ non saprei. Ho provato a scrivere un po’ qualcosina a riguardo che e’ riportato qui sotto, ma non ho ancora le idee troppo chiare.
Nel tentativo di socializzare questi ragionamenti ho pensato a un allenamento
di lotta, basato su cose semplici del brasilian ju jitsu, in cui provo spiegare
alcuni passaggi, movimenti, posizioni che a me piu’ imbarazza fare
perche’ hanno un rapporto piuttosto stretto con la sessualita’. Questo per mettere in evidenza come il corpo umano sia sempre quello: lo stesso della danza, lo stesso del sesso. E due persone che si avvinghiano e si strusciano, sono sempre e’ solo quello. Cambia il contesto magari, il senso, ma questo e’ soltanto una nostra costruzione mentale, non una condizione “naturale” o “oggettiva”, che possa giustificare sessismo e omofobia o l’aura di mascolinita’ che circonda questi sport.
Nel concreto sara’ un allenamento di un paio d’ore, da fare in pantaloncini e
maglietta, spero anzitutto divertente, perche’ la lotta e’ prima di
tutto un gioco. Io pratico brasilian e prima judo, non sono un insegnate,
ma faro’ del mio meglio per essere comprensibile e rendere il tutto
semplice e accessibile a tutti.

La sera dato che l’autoironia e’ una caratterista importante e da coltivare, volevo provare se si riesce ad aggiungere un’appendice ludica del workshop, attraverso una pratica sportiva ingiustamente al di fuori degli sport olimpici: la lotta nel fango.
Nella lotta di fatto normalmente vince chi sottomentte contro la propria volonta’ il partner, a sto giro no: una giuria attentamente selezionata, giudichera’ le migliori esibizioni. Si premia l’inventiva, l’estro, la simpatia, il gesto atletico, l’impegno della coppia di lottator*. No submission, just for fun.

Riflessioni

I frammenti, un gruppo torinese punk/hc dei primi anni ‘90, suonava un pezzo nel quale figurava una frase che non ricordo in maniera precisa, ma il significato era pressapoco questo: “il senso delle cose e’ un abbraccio disperato consumato nel silenzio … fino in fondo”. Se non fosse per l’aggettivo disperato potrebbe anche sembrare una frase da baci perugina, ma nella citta’ del suicidio di Sole e Baleno, che pure e’ posteriore al brano, non erano evidentemente parole a caso e coglievano bene un sentimento comune.
Eravamo giovani, ma sapevamo cosa stavamo facendo, almeno un po’ credo.
Questa frase, sotto forma di nenia, dimora ancora nella mia testa, a quasi 20 anni di distanza. In particolare cantilena nel mio cervello durante un’attivita’ invero non troppo comune: accade spesso, ma solo se praticate thai boxe, che i due partner s’avvinghino e inizino ad ammucchiarsi tentando di aprirsi la guardia a vicenda per infilare ginocchiate, pugni e gomitate, si chiama clinch. Accade ancora piu’ spesso se praticate qualche tipo di lotta a terra (nel mio caso prima judo e ora bjj) di rotolarsi in posizioni che rivisitano un kamasutra espanso in ogni piu’ piccolo dettaglio, se escludiamo la penetrazione.
Ecco mentre me ne sto a stringere quell’altro corpo sudato e scivoloso, e sento il fiato bollente sulla mia spalla, e i nostri profili si strusciano, si insinua la filastrocca.
Tutto preso in quell’abbraccio, in cui ci si sostiene all’altro per la stachezza, tentando magari anche di farsi del male a vicenda, tocca di tenere fino in fondo. Ma immerso nella fatica e nel sudore non ho proprio voglia di vincere, e neanche di perdere, non mi interessano punto entrambi. Io non so perche’ quell’altro corpo stia li’ a soffrire avvinghiato a me, ma il senso delle cose e’ solo in un abbraccio un poco disperato, magari per futili motivi, ma consumato fino in fondo, e basta. Non serve altro, non abbiamo piu’ nulla da dimostrare l’uno all’altro, non importa cosa succeda dopo.
Questa dimensione quasi di riscatto esistenziale, credo potrei condividerla con molte delle persone che incontro sul tatami, ma e’ come incompleta, senza l’altro pezzo. Sopratutto nella lotta l’ambiente e’ decisamente maschile, pregno di una virilita’ a tratti ostentata. In cui il fatto che due maschi rivisitino in chiave
lottereccia scene che sembrano tratte da shunga (stampe erotiche giapponesi di fine ottocento), va esorcizzato con boutade sempre uguali, ritualizzate, a cui tutti rispondono come ad un mantra.
“Che chiappette sode, ora ti si fa una foto e la si posta su uno di quei siti bjj per froci”
“See, e poi lo si manda a la tu’ ma’”
“Gia’ e la tua di mamma ? come sta ? L’ho vista sui viali ieri sera, tra i trans e le negre”
“Bha, cmq i siti bjj per froci fanno schifo: ma ti immagini lottare con uno che poi va a casa e si masturba pensando che gli hai messo le palle in bocca”
(te piacerebbe…)
“E perche’ te quando lotti con l’elena non gliele tocchi le puppe scusa ? E poi gliene dedichi una quando vai a casa ? ”
“E certo, sono mica frocio”.
Eppure due uomini che lottano assomigliano abbastanza a due uomini che amoreggiano, cosi’ come accade per due donne o per un uomo e una donna. La lotta, come la danza, condivide la gestualita’ col rapporto sessuale. Il corpo uno e’. Spesso si ansima anche nella stessa maniera.
Ma questo lo sanno tutti, bisogna quindi attrezzarsi per scacciare i fantasmi e riportare la questione su un piano di attivita’ virile. Io di solito un po’ vigliaccamente taccio, alimentando una sorta di mia personale rassegnazione su quelle palestre, su certi ambienti, sperando che prese singolarmente quelle persone siano meglio di come appaiono in gruppo. Convincendomi che io sono li’ per imparare la lotta, perche’ loro la sanno fare, condividero’ quello che posso, al limite il solo tempo del tatami.
E’ una posizione debole, mi rendo conto.
Non e’ poi neppure un problema di omo/bi/etero sessualita’, accettazione del diverso, e bla bla.
Ma piuttosto di capire cosa stai facendo: ti rotoli sudato, abbracciato, appeso al corpo di un altro maschio, cercando di soffocarlo, di stringerlo, di immobilizzarlo, di chiudere posizioni che si
chiamano triangolo, monta, e i nomi in brasiliano suonano ancora piu’erotici, giuro. Questo non da indicazioni sui tuoi gusti sessuali, ma e’ sicuramente un invito a fare pace con te stesso. A capire che questo rapporto con il corpo di un altro maschio ti piace, altrimenti non saresi li’ 4 giorni su 7 a schiantare di fatica. E tutte le battute sui froci,
non laveranno via questa semplice verita’, tanto evidente per chiunque estraneo passi intorno al tatami e butti un occhio a quel che accade sopra.
Eppero’ un po’ mi dispiace che sia cosi’, e di non poter condividere con altri questa visione del gioco.
Perche’ anche lontano dal clinch, dal tatami e dal sudore scivoloso, credo comunque stia in questi abbracci il senso della lotta, delle compagne e dei compagni che mi circondano, della vita buffa che facciamo, del perche’ dopo tanti anni sono ancora qui, con inciso sulla pelle tanti scorci di esistenza consumati fino in fondo, piuttosto felice che non si possan piu’ cancellare.