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Giornate Antisessiste dello Sport Popolare: un primo bilancio

Allenamenti collettivi di boxe, lotta a terra, aikido, arrampicata, autodifesa, pole dance. Torneo di calcetto e partita di rugby, entrambi misti. Dibattiti e workshop intenzionati ad affrontare con taglio critico le tematiche legate all’antisessismo, sia nei confronti della controparte rappresentata dallo sport mainstream, sia al proprio interno, nei progetti di sport popolare costruiti dal basso. E un momento su tutti, la lotta nel fango, svoltasi la prima sera in mezzo ad un pubblico in delirio. Oltre a ciò, cene di finanziamento di vari progetti, dj set serali e un’organizzazione logistica di tutto rispetto, specie se si pensa che era una prima edizione. Insomma, fatica, sudore, cultura e divertimento.

 

Tutto questo è stato GASP (Giornate Antisessiste dello Sport Popolare), festival ospitato negli spazi del CSOA Gabrio di Torino, grazie all’impegno della Palestra Popolare Dante Di Nanni e al contributo di chi da altre città, specie Roma e Firenze, ha creduto fin da subito nell’ambizioso progetto. Mettere al centro della riflessione, all’interno della galassia dello sport popolare, il tema antisessista, non è certo qualcosa di semplice o scontato: anche all’interno dei “nostri” circuiti infatti, a differenza magari dei tratti antifascisti e antirazzisti, quelli antisessisti sono troppo spesso sventolati come bandiera o parola d’ordine, ma nel concreto sono poi molto trascurati. Negli sport da combattimento ad esempio spesso c’è fastidio nel doversi allenare in coppia con una ragazza, o quanto meno un’attenzione artificiale a non affondare i colpi in modo adeguato. Così come negli sport di squadra si tende spesso a perpetuare la divisione binaria maschile/femminile. Una delle sfide più importanti individuate nelle discussioni è proprio quella del superamento degli schemi legati a sesso e genere imposti dall’alto: proprio le palestre popolari potrebbero sobbarcarsi l’onere e l’onore di sperimentare nuove forme di allenamento, socialità e competizione. Superare il dualismo maschio/femmina impostando casomai le distinzioni per statura, peso, massa muscolare o anche abilità tecnica. Accantonare qualsiasi discriminazione, anche involontaria, legata al genere, anche a partire dalla condivisione degli spogliatoi e da un lento e graduale superamento delle barriere e degli imbarazzi di ognuna e ognuno. Far sì che i “nostri” luoghi siano una reale alternativa a tutto quello che nel mondo circostante c’è di discriminatorio ed escludente, e non una copia edulcorata di quello stesso mondo.

C’è poi tutto il capitolo delle sfide da portare allo sport “dei padroni”: le tematiche sono varie, a partire dalla rigidissima divisione binaria maschile/femminile, che comporta ulteriori discriminazioni quali l’assenza del professionismo in campo femminile, differenze abissali nelle retribuzioni, interesse mediatico tutto a favore del maschile. Queste dinamiche vanno a creare circoli viziosi basati su interessi prettamente economici, che poi hanno ricadute anche sulle scelte apparentemente più libere: ad esempio da bambini si è già indirizzati verso gli sport “da maschi” o “da femmine”, con tutte le conseguenze di emarginazione per chi decide di compiere una scelte “fuori dagli schemi”. C’è poi il capitolo delle persone con un corpo in transizione: queste non possono di fatto gareggiare a livello ufficiale, in quanto per tesserarsi presso qualsiasi società fa fede il documento. Interessante è stato l’intervento della squadra di calcetto femminile veronese delle “Tegnizze”, che incorpora anche varie persone in transizione: progetto che sta aggregando molto, con decine di persone che partecipano alle partite o ai piccoli tornei, che però restano per forza di cose informali e a livello amichevole. Altro caso di cui si è parlato a titolo esemplificativo è quello di Caster Semenya, atleta sudafricana campionessa mondiale degli 800 metri nel 2009, al centro di umilianti polemiche sul fatto che fosse una donna o meno. Ripetuti esami accertarono che il suo era un corpo con caratteristiche “ibride”, che quindi non si incasellava nel rigido e convenzionale schema maschile/femminile. Alla fine poté tenere la medaglia, ma fu costretta a cure ormonali che la riportassero a valori “femminili”, danneggiando di molto le sue prestazioni. Questo è solo un esempio di come i semplicistici schemi imposti dall’alto possano pesare in modo anche drammatico sulla vita di chi vuole fare sport.

Durante l’assemblea plenaria finale, la valutazione è stata che questa prima edizione di GASP è stata una sorta di sasso scagliato in uno stagno, quello dello sport, e anche dello sport popolare, finora troppo fermo riguardo alla tematica antisessista. C’è soddisfazione e voglia di proseguire il percorso, con nuove edizioni e un ampliamento della partecipazione, da raggiungere attraverso una migliore pubblicizzazione e un maggior coinvolgimento delle città, con iniziative di avvicinamento sparse sul territorio. Insomma, delle Giornate Antisessiste dello Sport Popolare si sentirà di nuovo parlare, si spera al più presto.

 

Matthias Moretti

 

Non farsi sconti

Le gasp sono state dei momenti ricchi e utili. Io sono stato contento di
ogni goccia di sudore spesa in quei giorni.
Osservare le persone che tentano di esprimere idee attraverso lo sport
e’ interessante, vivere questa
sorta di scambio che si crea tra corpi che si allenano assieme pregna
l’aria di un’atmosfera stimolante,
oltre al consueto odore di umanità compressa e affaticata delle
palestre e degli spogliatoi.

Credo che se dovessi prospettare una crescita di queste giornate vorrei
approfondire un concetto in particolare,
che non saprei esplicitare meglio se non con l’espressione “non farsi
sconti”.

Essendo di corporatura alla fine piuttosto esile e minuta, sono sempre
stato molto sensibile alla fatica
iniziale a cui ci si sottopone, quando si inizia una disciplina
sportiva, alla frustrazione che si prova
quando si arriva in mezzo ad un gruppo di persone allenate che macina
esercizi e circuiti, nel non riuscire
a stare dietro al ritmo. Dell’afferrare una sbarra e sollevare il
proprio peso, e magari non riuscirci
mai per un anno di fila, nel portare a fine i propri venti piegamenti
sulle braccia in appoggio sulle
ginocchia mentre il resto del gruppo pompa a fisarmonica su un braccio
solo, sorriso
modello nuoto sincronizzato e sguardo rivolto verso il sol
dell’avvenire.

Ho sempre provato un’istintiva empatia nei confronti di chi fatica il
doppio per ottenere la metà,
e però non si fa sconti.

All’interno delle gasp, credo che non farsi sconti, almeno per me,
volesse sopratutto dire non adagiarmi
su un terreno facile, dove sentirmi al sicuro e al riparo.
Noi maschietti spesso viaggiamo su un binario facilitato da un retaggio
culturale che dipinge molte delle attività
sportive che pratichiamo secondo un modello neppure troppo velatamente
virile. In questo senso è semplice adagiarsi:
la boxe, il calcetto, il rugby, la lotta, ecc… Alla fine
l’antisessismo appare come aprire le porte alle donne
su un terreno nel quale ci si sente sicuri.

E cosi’ pero’ ci siamo fatti
degli sconti.

Sarebbe interessante invece mettersi in una condizione di potenziale
difficoltà ribaltando quell’impostazione
culturale che designa le attviità’ sportive di carattere maschile e
femminile.

Una compagna in assemblea finale
suggeriva di includere la danza tra le attività del prossimo anno e
vedere quanti maschietti sarebbero pervenuti,
per la pole dance quest’anno sono stati pochini.
Non bisogna pero’ farsi sconti in questo senso. Non si tratta di
affrontare la cosa in maniera goliardica, del
tipo “guarda che cazzata mi tocca fare una volta l’anno”, ma in qualche
modo assumersi un’impegno:
rimane un gioco, come spero tutto quello che mettiamo in campo, ma si
può giocare anche molto seriamente.
A me piacciono un sacco la pole dance, e anche l’acrobatica area con i
tessuti, la danza nelle sue molteplici
declinazioni pure e’ affascinante. Ed e’ frustrante scoprire come il mio
corpo sia poco flessibile, e si muova
male e appaia brutto e goffo, e sentirsi un orso ballerino che spunta
scoordinato e fuori tempo su uno dei tanti
finali possibili del lago dei cigni.
Non e’ che io non mi senta cosi’ anche praticando boxe o bjj o
semplicemente giocando a calcio
(che e’ uno sport troppo violento e non mi riesce per nulla bene). Ma in
qualche modo in questi altri ambiti
mi sento in parte “tutelato”. Non perchè io sia necessariamente bravo
in queste attività, si tratta piuttosto
di un paracadute culturale offertomi da una questione prettamente di
genere.

Invece nell’invertire i termini di
quella dialettica, in qualche modo mi privo di un salvagente e mi
costringo a non farmi sconti, epperò’ solo in
questo modo mi sembra di muovermi verso la possibilità di un’altra
sintesi, che non approdi al binarismo di
genere o alle quote rosa

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