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Da quando siamo piccole ci hanno insegnato che la forza è degli uomini e
grazia e leggerezza delle donne. Ci hanno portate a credere che la
violenza fosse maschile e cattiva. Ci hanno portati a credere che la
danza fosse da froci, che per esprimere la nostra mascolinità dovessimo
fare a cazzotti. Che gli unici contatti con persone del nostro genere
consentiti fossero quelli della rissa.
Ci hanno insegnato che le femmine sono graziose e pulite, a meno che non
siano un po’ zoccole e facciano la lotta nel fango, e che gli uomini
devono puzzare. Hanno costretto i nostri corpi in delle gabbie che ci
hanno impedito di esprimerci attraverso di essi. Hanno fatto in modo che
le nostre abilità e disabilità si scontrassero non solo con le barriere
fisiche, che sono comunque molteplici, ma anche con quelle mentali di
chi ci sta intorno. Abbiamo sperimentato l’esclusione dagli sport perché
i nostri ormoni non rispondevano ai canoni di nessuna federazione.
Abbiamo provato riprenderci la forza combattente, quella possibilità di definire col
corpo il proprio spazio vitale e decidere chi, cosa, dove, quando puo’
entrarvi. Abbiamo sperimentato che il combattimento non parla di sola
auto-difesa, ma di capacita’ di autocoltivazione della propria forza, abbiamo
frequentato palestre popolari e non, come maschi ci siamo avvinghiati ad
altri corpi maschili e forse c’è piaciuto. Abbiamo smesso di tenere le
gambe chiuse e abbiamo cercato di sfidare la forza di gravità su pali e
tessuti. Siamo stufe di ragionare da sole, o in piccoli gruppi, sulla
potenza che i nostri corpi hanno e sulle potenzialità che potrebbero
esprimere insieme.
A Valencia nel novembre 2014 si è tenuto il primo transfemifest esportiu <https://transfemifestesportiu.wordpress.com/manifiesto/>, che con lo
slogan “juntas en forma contra el patriarcado” intendeva unire donne e
trans nel riprendersi ciò che per troppo tempo a donne e trans era stato
negato: la capacità di usare il corpo, divertirsi insieme, imparare a
difendersi, avere l’agio di sentirsi bene con le altre.Perchè il
patriarcato riconosce nel corpo il primo soggetto su cui rivalersi -
dall’intimità delle case in cui troppo spesso si scatena la violenza
domestica, alle fabbriche, alle strade in cui vengono colpite sex worker
e migranti - e solo attraverso il corpo possiamo pensare di abbatterlo.
L’idea del festival era quella di creare uno spazio di cura e amore, in
cui intessere relazioni politiche attraverso il racconto di esperienze e
situazioni relative al vivere lo sport, arricchirsi con attività di
contatto, creare reti, costruire strumenti di autoconoscimento del
proprio corpo e spazi di lotta e partecipazione politica… senza
dimenticare il divertimento e il gioco!!!
Siamo tornate in Italia cariche di endorfine e voglia di riportare
quell’esperienza e farla nostra.
Nell’Italia delle palestre e dello sport popolare - che giustamente
praticano tanti “anti” (antifascismo, antirazzismo ecc.) - ci piacerebbe
creare delle giornate per incontrarci e riflettere sui temi
dell’antisessismo, del femminismo e della lotta al patriarcato
attraverso lo sport, tra donne, uomini, trans e soggetti che non si
identificano in una norma di genere. Vorremmo costruire dei momenti
pratici in cui sperimentare assieme allenamenti diversi, misti (ma anche
separati se ritenessimo necessario creare dei momenti di complicità su
temi delicati come quello della violenza), per sport individuali o di
squadra, per ritrovare tutta la nostra forza.
Perché il sessismo si abbatte anche in campo e sotto la doccia.
Perché i nostri corpi sono le nostre armi.
Perché solo insieme possiamo dare un calcio al patriarcato.
Lo sport popolare, come lo conosciamo e pratichiamo, è antifascista, antirazzista ed antisessista.
Antirazzista perché non sono necessari documenti o permessi per allenarsi e perché la provenienza di un individuo importa solo come possibilità di scambio.
Antifascista perché alla violenza della sopraffazione opponiamo la forza ragionata e leale della solidarietà.
Antisessista perché nei nostri allenamenti e nelle nostre palestre corpi diversi si possono incontrare, affrontare, scontrare e misurare, toccare e rispettare.
Una tre giorni antisessista nasce dalla necessità di mettere al centro nuovi rapporti tra generi ed identità di genere partendo dallo sport.
Obiettivo è di creare momenti di confronto sull’antisessismo, troppo spesso sbandierato all’interno dei movimenti e dello sport popolare senza che vi sia la reale pratica e condivisione di ciò che esso significa ed implica. La costruzione di una tre giorni di sport antisessista si propone innanzitutto di essere un percorso di condivisione e confronto sui modelli introiettati e quindi un percorso di cambiamento personale, politico e collettivo.
L’idea è che vi sia in ogni momento un approccio ludico dove alla competizione fine a se stessa si oppongono confronto e l’incontro senza che sia necessaria la ricerca di un vincitore e di un vinto.
Essere antisessisti non vuol dire però rifiutare la sessualità. Al contrario è riconosciuta la valenza erotica dei corpi che può essere sperimentata all’interno di spazi nei quali non è ammessa la prevaricazione o l’invasione di un corpo altro. Nella società in cui viviamo troppo spesso la sessualità viene associata all’oggettificazione e gli spazi stessi vengono vissuti in maniera diversa a seconda del genere cui si è stat* assegnat*. La tre giorni di sport popolare antisessista si propone di creare spazi in cui sia possibile confrontarsi con corpi diversi senza sottoporli a giudizi basati sulla forza o sulla capacità di dominare l’altr*. Nella nostra esperienza vuol dire spogliatoi ed allenamenti misti, vuol dire riconoscersi nelle differenze e praticare relazioni orizzontali e paritarie.
Ci si propone inoltre di dare spazio a tutt* coloro che non si identificano all’interno del binarismo di genere e che sono per questo esclusi dalle competizioni dello sport ufficiale.
Quest’ultimo, che in molti ambiti ha perso la sua funzione sociale ed educativa, propaganda troppo spesso competitività e modelli di genere violenti, che impongono di adeguarsi a rigide norme che riguardano sia la fisicità dei corpi che comportamenti e relazioni sociali. Per questo motivo la tre giorni di sport popolare antisessista vuole rivolgersi anche all’esterno dei circuiti dello sport popolare, per riappropriarsi di spazi pubblici nei quali praticare antifascismo, antirazzismo ed antisessismo.
La costruzione sarà il più possibile orizzontale, aperta ed inclusiva. L’inclusività di cui si parla da un lato mira a coinvolgere nella costruzione e nella partecipazione il maggior numero di persone possibile, dall’altro non esclude la possibilità di momenti che permettano a chi vi partecipa di sentirsi a proprio agio. Al tempo stesso si chiede a chiunque, come singol* o come realtà, voglia partecipare al processo di costruzione di pensare a momenti in cui sport ed antisessismo possano concretamente dialogare, di proporre workshop, attività sportive o iniziative ragionate e coerenti con i principi fin qui espressi.
Da quando siamo piccole ci hanno insegnato che la forza è degli uomini e
grazia e leggerezza delle donne. Ci hanno portate a credere che la
violenza fosse maschile e cattiva. Ci hanno portati a credere che la
danza fosse da froci, che per esprimere la nostra mascolinità dovessimo
fare a cazzotti. Che gli unici contatti con persone del nostro genere
consentiti fossero quelli della rissa.
Ci hanno insegnato che le femmine sono graziose e pulite, a meno che non
siano un po’ zoccole e facciano la lotta nel fango, e che gli uomini
devono puzzare. Hanno costretto i nostri corpi in delle gabbie che ci
hanno impedito di esprimerci attraverso di essi. Hanno fatto in modo che
le nostre abilità e disabilità si scontrassero non solo con le barriere
fisiche, che sono comunque molteplici, ma anche con quelle mentali di
chi ci sta intorno. Abbiamo sperimentato l’esclusione dagli sport perché
i nostri ormoni non rispondevano ai canoni di nessuna federazione.
Abbiamo provato riprenderci la forza combattente, quella possibilità di definire col
corpo il proprio spazio vitale e decidere chi, cosa, dove, quando puo’
entrarvi. Abbiamo sperimentato che il combattimento non parla di sola
auto-difesa, ma di capacita’ di autocoltivazione della propria forza, abbiamo
frequentato palestre popolari e non, come maschi ci siamo avvinghiati ad
altri corpi maschili e forse c’è piaciuto. Abbiamo smesso di tenere le
gambe chiuse e abbiamo cercato di sfidare la forza di gravità su pali e
tessuti. Siamo stufe di ragionare da sole, o in piccoli gruppi, sulla
potenza che i nostri corpi hanno e sulle potenzialità che potrebbero
esprimere insieme.
A Valencia nel novembre 2014 si è tenuto il primo transfemifest esportiu <https://transfemifestesportiu.wordpress.com/manifiesto/>, che con lo
slogan “juntas en forma contra el patriarcado” intendeva unire donne e
trans nel riprendersi ciò che per troppo tempo a donne e trans era stato
negato: la capacità di usare il corpo, divertirsi insieme, imparare a
difendersi, avere l’agio di sentirsi bene con le altre.Perchè il
patriarcato riconosce nel corpo il primo soggetto su cui rivalersi -
dall’intimità delle case in cui troppo spesso si scatena la violenza
domestica, alle fabbriche, alle strade in cui vengono colpite sex worker
e migranti - e solo attraverso il corpo possiamo pensare di abbatterlo.
L’idea del festival era quella di creare uno spazio di cura e amore, in
cui intessere relazioni politiche attraverso il racconto di esperienze e
situazioni relative al vivere lo sport, arricchirsi con attività di
contatto, creare reti, costruire strumenti di autoconoscimento del
proprio corpo e spazi di lotta e partecipazione politica… senza
dimenticare il divertimento e il gioco!!!
Siamo tornate in Italia cariche di endorfine e voglia di riportare
quell’esperienza e farla nostra.
Nell’Italia delle palestre e dello sport popolare - che giustamente
praticano tanti “anti” (antifascismo, antirazzismo ecc.) - ci piacerebbe
creare delle giornate per incontrarci e riflettere sui temi
dell’antisessismo, del femminismo e della lotta al patriarcato
attraverso lo sport, tra donne, uomini, trans e soggetti che non si
identificano in una norma di genere. Vorremmo costruire dei momenti
pratici in cui sperimentare assieme allenamenti diversi, misti (ma anche
separati se ritenessimo necessario creare dei momenti di complicità su
temi delicati come quello della violenza), per sport individuali o di
squadra, per ritrovare tutta la nostra forza.
Perché il sessismo si abbatte anche in campo e sotto la doccia.
Perché i nostri corpi sono le nostre armi.
Perché solo insieme possiamo dare un calcio al patriarcato.