Le gasp sono state dei momenti ricchi e utili. Io sono stato contento di
ogni goccia di sudore spesa in quei giorni.
Osservare le persone che tentano di esprimere idee attraverso lo sport
e’ interessante, vivere questa
sorta di scambio che si crea tra corpi che si allenano assieme pregna
l’aria di un’atmosfera stimolante,
oltre al consueto odore di umanità compressa e affaticata delle
palestre e degli spogliatoi.
Credo che se dovessi prospettare una crescita di queste giornate vorrei
approfondire un concetto in particolare,
che non saprei esplicitare meglio se non con l’espressione “non farsi
sconti”.
Essendo di corporatura alla fine piuttosto esile e minuta, sono sempre
stato molto sensibile alla fatica
iniziale a cui ci si sottopone, quando si inizia una disciplina
sportiva, alla frustrazione che si prova
quando si arriva in mezzo ad un gruppo di persone allenate che macina
esercizi e circuiti, nel non riuscire
a stare dietro al ritmo. Dell’afferrare una sbarra e sollevare il
proprio peso, e magari non riuscirci
mai per un anno di fila, nel portare a fine i propri venti piegamenti
sulle braccia in appoggio sulle
ginocchia mentre il resto del gruppo pompa a fisarmonica su un braccio
solo, sorriso
modello nuoto sincronizzato e sguardo rivolto verso il sol
dell’avvenire.
Ho sempre provato un’istintiva empatia nei confronti di chi fatica il
doppio per ottenere la metà,
e però non si fa sconti.
All’interno delle gasp, credo che non farsi sconti, almeno per me,
volesse sopratutto dire non adagiarmi
su un terreno facile, dove sentirmi al sicuro e al riparo.
Noi maschietti spesso viaggiamo su un binario facilitato da un retaggio
culturale che dipinge molte delle attività
sportive che pratichiamo secondo un modello neppure troppo velatamente
virile. In questo senso è semplice adagiarsi:
la boxe, il calcetto, il rugby, la lotta, ecc… Alla fine
l’antisessismo appare come aprire le porte alle donne
su un terreno nel quale ci si sente sicuri.
E cosi’ pero’ ci siamo fatti
degli sconti.
Sarebbe interessante invece mettersi in una condizione di potenziale
difficoltà ribaltando quell’impostazione
culturale che designa le attviità’ sportive di carattere maschile e
femminile.
Una compagna in assemblea finale
suggeriva di includere la danza tra le attività del prossimo anno e
vedere quanti maschietti sarebbero pervenuti,
per la pole dance quest’anno sono stati pochini.
Non bisogna pero’ farsi sconti in questo senso. Non si tratta di
affrontare la cosa in maniera goliardica, del
tipo “guarda che cazzata mi tocca fare una volta l’anno”, ma in qualche
modo assumersi un’impegno:
rimane un gioco, come spero tutto quello che mettiamo in campo, ma si
può giocare anche molto seriamente.
A me piacciono un sacco la pole dance, e anche l’acrobatica area con i
tessuti, la danza nelle sue molteplici
declinazioni pure e’ affascinante. Ed e’ frustrante scoprire come il mio
corpo sia poco flessibile, e si muova
male e appaia brutto e goffo, e sentirsi un orso ballerino che spunta
scoordinato e fuori tempo su uno dei tanti
finali possibili del lago dei cigni.
Non e’ che io non mi senta cosi’ anche praticando boxe o bjj o
semplicemente giocando a calcio
(che e’ uno sport troppo violento e non mi riesce per nulla bene). Ma in
qualche modo in questi altri ambiti
mi sento in parte “tutelato”. Non perchè io sia necessariamente bravo
in queste attività, si tratta piuttosto
di un paracadute culturale offertomi da una questione prettamente di
genere.
Invece nell’invertire i termini di
quella dialettica, in qualche modo mi privo di un salvagente e mi
costringo a non farmi sconti, epperò’ solo in
questo modo mi sembra di muovermi verso la possibilità di un’altra
sintesi, che non approdi al binarismo di
genere o alle quote rosa